Волшебные итальянские сказки / Fiabe italiane magiche - стр. 9
Capitò che, andando a caccia per quei boschi, il re incontrò la notte cammin facendo e, non sapendo dove sbattere la testa[61], vide brillare una candela dentro quel palazzo, per questo mandò da quella parte un servo perché pregasse il padrone di dargli ospitalità. Arrivato il servo, si fece avanti la lucertola sotto forma[62] di una bellissima ragazza, che, sentita l’ambasciata, disse che era mille volte il benvenuto, perché non gli sarebbero mancati né il pane né i coltelli. Sentita la risposta, il re venne e fu ricevuto da cavaliere, gli uscirono incontro cento paggi con le torce accese, sembrava il gran funerale di un uomo ricco; altri cento paggi portarono le bevande in tavola, sembravano tanti garzoni di speziali che portassero i piattini ai malati; cento altri con strumenti facevano musica; ma soprattutto Renzolla servì da bere al re con tanta grazia che bevve più amore che vino. Ma, finito il masticatorio e sparecchiate le tavole, il re andò a coricarsi e Renzolla stessa gli tolse le calze dai piedi e il cuore dal petto, con tanta buona grazia che il re sentì dalle ossa piccoline toccate da quella bella mano salire il veleno amoroso ad avvelenargli l’anima, tanto che[63], per porre rimedio alla sua morte, cercò di avere il contravveleno di quelle bellezze e, chiamando la fata che la proteggeva, gliela chiese in moglie. E lei, non desiderando altro che il bene di Renzolla, non solo gliela diede volentieri, ma le diede anche una dote di sette pezzi d’oro. Il re, tutto felice di questa fortuna, se ne partì con Renzolla, che, sprezzante e ingrata per quanto le aveva dato la fata, se ne andò con il marito senza rivolgerle una sola parola di ringraziamento. E la maga, vedendo tanta ingratitudine, le lanciò una maledizione, che la sua faccia si trasformasse in quella di una capra e, appena dette queste parole, le si allungò il muso con un palmo di barba, le si strinsero le ascelle, le si indurì la pelle, la faccia le si coprì di peli e le trecce diventarono corna puntute. Il povero re, visto questo, si fece piccino piccino, non riusciva a capire cosa gli fosse capitato, perché una bellezza si fosse trasformata così e, sospirando e piangendo a tutto spiano[64], diceva: “Dove sono i capelli che mi legavano? Dove gli occhi che mi trafiggevano? Dove la bocca che è stata la tagliola di quest’anima, la trappola di questi spiriti e il laccio di questo cuore? ma che? Devo essere marito di una capra e acquistare il titolo di caprone? No no, non voglio che questo cuore crepi per una faccia di capra”. Dicendo così, arrivato al suo palazzo, mise Renzolla con una cameriera in una cucina dando all’una e all’altra quattro rotoli di lino perché li filassero, dandogli il limite di una settimana per finire questo cottimo. La cameriera, obbedendo al re, cominciò a pettinare il lino, a fare i lucignoli, ad avvolgerli sulla rocca, a torcere il fuso, a finire le matasse e a faticare come un cane, tanto che il sabato sera si trovò il lavoro finito. Ma Renzolla, credendo di essere la stessa che era stata a casa della fata, perché non si era guardata allo specchio, gettò il lino dalla finestra, dicendo: “Il re perde tempo a darmi questi fastidi! se vuole camicie che se ne